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Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU)

Sentenze

Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto

  • Sentenza del: 07/09/2017

    N° ricorso: 37189/05

    Messana - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU, relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.

  • Sentenza del: 29/06/2017

    N° ricorso: 63446/13

    Lorefice - in materia di giusto processo . Il ricorso alla Corte EDU era stato presentato da un cittadino italiano residente in Sicilia che era stato condannato in via definitiva per estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e altri reati. Egli, in realtà, in primo grado (presso il tribunale di Sciacca) era stato assolto, perché uno dei due testimoni a carico - chiamato all'esame in sede dibattimentale - era stato ritenuto inattendibile. In appello, viceversa, la sentenza di assoluzione era stata rovesciata, avendo considerato la corte di Palermo le deposizioni rese dal testimone nelle udienze di primo grado del tutto credibili. Il ricorso per cassazione del Lorefice era stato respinto, perché la Suprema Corte non aveva ravvisato margini per sostituire il proprio giudizio di merito a quello della corte d'appello. Inoltre, pur soffermandosi sul motivo - proposto dal ricorrente - inerente alla necessità che l'istruttoria dibattimentale dovesse essere rinnovata e che il testimone dovesse essere nuovamente sentito, la Cassazione aveva escluso che nell'ordinamento italiano la refomatio in pejus necessiti la ripetizione dell'istruttoria in dibattimento. In tal senso, la Cassazione aveva ritenuto non applicabile al caso di specie il principio contenuto nella sentenza CEDU Dan c. Moldavia del 2011, poiché in quel caso la testimonianza a carico era l'unico elemento decisivo (mentre i questo caso l'istruzione dibattimentale di primo grado aveva ricompreso numerosi elementi, comprese - per esempio - intercettazioni di conversazioni).
    La Prima sezione accoglie il ricorso, giacché - viceversa - considera che la corte d'appello non si è limitata a motivare diversamente sui medesimi elementi di fatto considerati dal tribunale: essa ha formulato giudizi sull'intrinseca attendibilità dei testimoni senza ascoltarli. Di qui l'accertamento della violazione dell'articolo 6, comma 1.

  • Sentenza del: 22/06/2017

    N° ricorso: 37931/15

    Barnea e Caldararu - in materia di affidamento di minori. Da una denuncia anonima, nel 2009, era scaturito un accesso al domicilio di una donna impegnata nel volontariato in favore della comunità rom. All'atto dell'accesso presso la donna era stata ritrovata una bambina, che non era sua figlia. Le autorità avevano sospettato che la minore fosse stata venduta dai genitori alla donna, in cambio della cessione di un appartamento. Per tale ragione, era iniziato un procedimento presso il Tribunale dei minori che aveva condotto, dapprima, alla dichiarazione dello stato di adottabilità della minore e poi all'affidamento ad una famiglia che ne aveva fatto domanda. Mentre queste statuizioni erano state confermate nel giudizio di primo grado, previo svolgimento di perizie che avevano rivelato l'insistenza di rapporti affettivi e di empatia tra i genitori e la bambina, viceversa in grado di appello sia le perizie, sia il giudizio avevano portato a un esito più articolato, ai sensi del quale - sebbene fosse stato confermato il provvisorio affidamento a una nuova famiglia - occorreva avviare un processo di graduale riavvicinamento della minore alla famiglia di origine, assistito dai servizi sociali. A questo dettame della Corte d'appello, che risaliva al 2012, non era mai stata data esecuzione. Sicché aveva preso avvio un nuovo procedimento di contestazione dello stato di adottabilità. In seguito, la Corte d'appello aveva deciso per la perfetta idoneità della madre e del padre ad assumersi la responsabilità genitoriale, avendo constatato un effettivo legame tra costoro e la bambina. Successivamente, la domanda di adozione speciale avanzata dalla famiglia affidataria era stata respinta e la bambina, ormai dell'età di nove anni, era stata riaffidata definitivamente alla famiglia d'origine nel 2016.

    I ricorrenti, familiari della bambina, hanno pertanto adito la Corte EDU per sentir dichiarare l'Italia responsabile della violazione del loro diritto alla vita privata e familiare di cui all'articolo 8. La Corte EDU accoglie la domanda, ritenendo che nel complesso le autorità italiane abbiano condotto il procedimento in modo troppo lungo e tortuoso, senza dare compiuta esecuzione alle decisioni giudiziali del 2012, favorevoli ai genitori ricorrenti, consentendo viceversa sviluppi contraddittori che, in definitiva, hanno finito per ledere la legittima aspettativa della famiglia d'origine di conservare l'integrità del proprio nucleo.

  • Sentenza del: 22/06/2017

    N° ricorso: 12131/13, 43390/13

    Bartesaghi Gallo e altri - in materia di tortura. Il caso inerisce ai fatti della scuola Diaz-Pertini, a Genova durante il G8 del luglio 2001. La magistratura italiana aveva tratto a giudizio numerosi imputati per lesioni dolose, porto abusivo di armi da guerra e una varietà di reati di falso. I fatti di lesione consistevano nell'aver cagionato ai manifestanti che riposavano nell'edificio gravi danni alla persona (fratture agli arti, lesioni agli organi interni, ecchimosi di varia gravità e altri). La signora Sara Bartesaghi Gallo era tra questi manifestanti e si era costituita parte civile nel processo. Analoghe circostanze erano accadute agli altri 41 ricorrenti. In tribunale, tutti costoro avevano ottenuto il riconoscimento di un risarcimento del danno per somme varianti dai 2 mila e 500 a 50 mila euro a carico dell'erario. La corte d'appello aveva confermato questa statuizione, la quale aveva anche superato il vaglio della Cassazione.

    Senonché, in ragione sia del decorso del tempo - che aveva determinato la prescrizione dei reati - sia dell'indulto del 2006 sia ancora delle decisioni giudiziali sui diversi passaggi probatori e sia, da ultimo, della mancanza nel nostro ordinamento penale del reato di tortura, i ricorrenti avevano assistito alla definitiva assoluzione di molti dei soggetti responsabili delle lesioni da lui subite. Né costoro erano stati sottoposti a procedimento disciplinare alcuno. Per questo si era rivolto alla CEDU, lamentando la violazione dell'articolo 3 della Convenzione (divieto della tortura e di trattamenti disumani e degradanti).

    La Corte - similmente al precedente Cestaro del 2015 - evidenzia che l'art. 3 impone anche obblighi procedurali di sanzionare i responsabili delle violazioni, che l'ordinamento nel suo complesso aveva impedito di adempiere. In questo contesto, i ricorrenti potevano vantare un diritto alla giustizia che è stato loro negato. Sicché - accertata la sussistenza di fatti di tortura contrari all'articolo 3 - la Corte all'unanimità condanna l'Italia per la violazione del medesimo articolo 3 sotto i profili sia materiale sia procedurale.

  • Sentenza del: 01/06/2017

    N° ricorso: 21838/10, 21849/10, 21852/10, 21855/10, 21860/10, 21863/10, 21869/10, 21870/10

    Stefanetti e altri - liquidazione ex art. 41 CEDU. Liquida ai sensi dell'art. 41 CEDU il danno patrimoniale per la violazione degli articoli 6, par. 1 CEDU e 1 Prot. n. 1 CEDU, già constatata con sentenza del 15.4.14.

  • Sentenza del: 18/05/2017

    N° ricorso: 25322/12

    Petrie- in materia di diritto alla vita privata e familiare. Il caso prende le mosse dal rigetto della domanda di risarcimento danni proposta dal ricorrente al fine di ottenere la riparazione del danno materiale e morale che egli riteneva di aver subìto in ragione di una offesa alla sua reputazione, al suo onore e alla sua identità personale. Egli ha adito la Corte EDU lamentando che le autorità nazionali sarebbero venute meno ai loro obblighi positivi di proteggere il suo onore e la sua reputazione, con conseguente violazione del suo diritto alla tutela della sua reputazione e, pertanto, del suo diritto al rispetto della vita privata.

    La Corte dichiara non sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, ritenendo che i giudici nazionali abbiano proceduto ad una valutazione circostanziata dell'equilibrio da garantire tra il diritto alla libertà di espressione e il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata. A giudizio della Corte, nulla permette di concludere che essi abbiano oltrepassato il margine di apprezzamento che è loro riconosciuto e si siano sottratti ai loro obblighi positivi nei confronti del ricorrente ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.

  • Sentenza del: 04/05/2017

    N° ricorso: 66396/14

    Improta - in materia di affidamento di minori. Il caso inerisce a una separazione tra genitori di una bambina, nata nel 2010. La madre si era sempre opposta alla visita in regime libero del padre, decidendo unilateralmente la cadenza delle visite, da svolgersi in sua presenza. Il padre aveva esperito ricorsi giudiziari onde ottenere l'affidamento congiunto della minore e comunque, nelle more del giudizio, il diritto di visita senza la presenza della madre. Quest'ultima vi si era opposta, deducendo tra l'altro il mancato versamento della quota di mantenimento da parte del padre. In primo grado, il giudice aveva disposto una perizia il cui svolgimento si era protratto per 15 mesi. Nel frattempo al padre era stato accordato il diritto di visita senza la madre, ma in regime protetto. In esito al giudizio di primo grado, il giudice aveva ordinato l'affidamento congiunto, il diritto di visita libero per il padre, nonché l'innalzamento dell'assegno di mantenimento. La Corte d'appello, a sua volta, aveva confermato le statuizioni del primo grado, salvo diminuire l'importo dell'assegno, che in ogni caso non risulta che fosse versato. Il padre aveva fatto ricorso alla CEDU, lamentando la violazione dell'articolo 8 (vita privata e familiare).

    La Corte ha ritenuto di constatare la violazione, a motivo della lunghezza ingiustificata delle procedure. Essa ha rammentato che, per quanto concerne i diritti nelle relazioni familiari, si deve evitare il pericolo del fatto compiuto e le autorità nazionali devono pervenire a decisioni tempestive e ben motivate, obbligo cui il giudice italiano si è sottratto consentendo il protrarsi irragionevole del contenzioso.

  • Sentenza del: 27/04/2017

    N° ricorso: 32143/10

    Di Sante - in materia di ragionevole durata del processo. Il caso si riferisce a un processo italiano che aveva ecceduto tempi ragionevoli e per i quali l'autorità giurisdizionale italiana aveva riconosciuto al ricorrente un indennizzo ai sensi della cd. legge Pinto. Senonché tale indennizzo era stato versato all'avente diritto con diversi mesi di ritardo e solo a seguito dell'avvio da parte sua di una procedura esecutiva. Di qui il ricorso alla Corte europea per violazione del giusto processo (art. 6) e del diritto di proprietà (art. 1 Protocollo addizionale n. 1).La Corte ravvisa nella procedura denunziata la violazione del giusto processo per irragionevole durata, ma non del diritto di proprietà.

  • Sentenza del: 13/04/2017

    N° ricorso: 36974/11

    Fasan e altri - in materia di ragionevole del processo.Il caso prende le mosse dall'istanza presentata nel 1981 dai ricorrenti, dipendenti della Camera dei deputati, per essere re-inquadrati nel secondo livello retributivo funzionale, atteso che - a loro avviso - l'inquadramento iniziale al primo livello era illegittimo. La domanda fu rigettata dalle istanze amministrative e poi dall'organo di tutela giurisdizionale interna di primo grado con sentenza depositata il 29 settembre 1999, nonché definitivamente in appello con sentenza depositata il 29 gennaio 2009.

    I ricorrenti promossero dunque ricorso ex lege n. 89 del 2001 (legge Pinto), deducendo l'eccessiva durata del processo di cui erano stati parte. Il Collegio d'appello adito ha circoscritto la questione alla durata del solo giudizio d'appello e ha considerato un'eccedenza indennizzabile di quattro anni. Quanto alla durata del giudizio di primo grado, secondo i giudici, i ricorrenti avrebbero dovuto intentare un procedimento innanzi alla Corte EDU, al fine di ottenere l'equa soddisfazione di cui all'art. 41 CEDU, trasferendo poi entro sei mesi l'istanza presso il giudice nazionale. I ricorrenti hanno quindi adito la Corte EDU lamentando l'eccessiva durata del processo e l'insufficienza dell'indennizzo ottenuto ai sensi della Legge Pinto. La Corte, richiamando la sua consolidata giurisprudenza in materia, ha constatato la violazione dell'art. 6, comma 1.

  • Sentenza del: 23/03/2017

    N° ricorso: 71660/14

    Endrizzi - in materia di affidamento di minori. Il caso concerne la lamentata violazione dell'articolo 8 CEDU da parte di un uomo che, separatosi dalla moglie, per alcuni anni non aveva potuto esercitare il diritto di visita con il figlio minore. Le autorità giudiziarie italiane avevano dapprima omologato un accordo tra i genitori di affidamento congiunto, ma poi - ad avviso della Corte - tollerato di fatto che per sette anni il diritto di visita del padre fosse conculcato, nel quadro di complessi sviluppi procedurali (anche con l'apporto di periti), composti anche di reciproche accuse e istanze di decadenza dalla potestà di genitore. La Corte constata la violazione dell'art. 8, in ragione dell'immotivata compressione del diritto di visita.

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