Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto
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Sentenza del: 17/11/2015
N° ricorso: 28976/05
Preite - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché nei casi di espropriazione per pubblica utilità solo il perseguimento di uno scopo legittimo può giustificare un'indennità notevolmente inferiore al valore commerciale del bene.
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Sentenza del: 13/10/2015
N° ricorso: 52557/14
S.H. - in materia di adozioni. Il caso prende le mosse dalla dichiarazione di adottabilità adottata nei confronti di tre minori, figli della ricorrente, sulla base della presunta incapacità dei genitori di prendersi cura dei bambini. La ricorrente ha adito la Corte EDU contestando alle autorità interne di avere dichiarato l'adottabilità dei suoi figli mentre, a suo dire, non esisteva una vera e propria situazione di abbandono ma soltanto difficoltà familiari transitorie, legate alla patologia depressiva di cui soffriva e all'interruzione della sua convivenza con il padre dei minori, che avrebbero potuto essere superate attuando un percorso di sostegno con l'aiuto dei servizi sociali. La Corte ha ritenuto che le autorità italiane, prevedendo come unica soluzione la rottura del legame familiare, benché nella fattispecie fossero praticabili altre soluzioni al fine di salvaguardare sia l'interesse dei minori sia il legame familiare, non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per fare rispettare il diritto della ricorrente di vivere con i figli, e di conseguenza hanno violato il diritto di quest'ultima al rispetto della vita familiare, sancito dall'articolo 8 della Convenzione.
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Sentenza del: 13/10/2015
N° ricorso: 28263/09
Baratta - in materia di processo in contumacia. Il caso prende le mosse dalla sentenza di condanna alla pena dell'ergastolo inflitta al ricorrente, pronunciata in contumacia mentre questi era in realtà detenuto in Brasile in attesa di estradizione. I giudici nazionali avevano infatti ritenuto che l'assenza dell'imputato fosse attribuibile alla sua volontà e non ad un legittimo impedimento.
La Corte - ritenuto che un procedimento di questo tipo, accompagnato dal reiterato rifiuto di riaprire o di tener conto dell'impedimento obiettivo rappresentato dalla detenzione a fini estradizionali all'estero, sia manifestamente contrario alle disposizioni dell'articolo 6 della Convenzione o ai principi da quest'ultimo sanciti - ha concluso che la privazione della libertà del ricorrente in esecuzione della decisione adottata nell'ambito di questo procedimento era arbitraria e dunque ugualmente contraria all'articolo 5 § 1 a) della Convenzione.
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Sentenza del: 06/10/2015
N° ricorso: 9167/05
Quintiliani - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
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Sentenza del: 06/10/2015
N° ricorso: 50825/06
Pellitteri e Lupo - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
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Sentenza del: 01/09/2015
N° ricorso: 16483/12
Khlaifia e altri - in materia di espulsioni. I ricorrenti sono cittadini di nazionalità tunisina che, sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, vennero trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola, dove rimasero alcuni giorni fino alla scoppio di una rivolta dei migranti per le condizioni igieniche e di vita a cui erano sottoposti nel centro. Trasferiti a bordo di due navi nel porto di Palermo, dopo quattro giorni vennero rimpatriati in Tunisia.
I ricorrenti hanno adito la Corte EDU lamentando: 1) la violazione dell'art. 5 CEDU sotto vari profili (in particolare, per essere stati privati della loro libertà in maniera incompatibile con la Convenzione, per l'assenza di qualsiasi forma di comunicazione con le autorità italiane durante tutto il periodo della loro permanenza sul territorio italiano, e per non aver mai avuto la possibilità di contestare la legalità della loro detenzione; 2) la violazione dell'art. 3 CEDU, per aver subito dei trattamenti inumani e degradanti durante la loro permanenza nel Centro di accoglienza e a bordo delle navi; 3) la violazione dell'art. 4 del Prot. n. 4 CEDU, che proibisce le espulsioni collettive; 4) la violazione dell'art. 13 CEDU, per non aver potuto beneficiare nel diritto italiano di un ricorso effettivo.
La Corte EDU ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 5 CEDU sia sotto il profilo della arbitrarietà della detenzione dei ricorrenti (art. 5, par. 1 CEDU), sia sotto il profilo della omessa comunicazione dei motivi alla base della privazione della loro libertà (art. 5, par. 2 CEDU), sia, infine, sotto il profilo della mancanza nel diritto interno di un ricorso per sottoporre a controllo giurisdizionale la legalità della loro detenzione, (art. 5, par. 4, CEDU). Limitatamente al trattenimento dei ricorrenti nel Centro di accoglienza, la Corte ha constatato la violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti, ed ha altresì dichiarato sussistente la violazione dell'art. 4 del Prot. n. 4 CEDU, avendo accertato che l'allontanamento dei ricorrenti ha avuto un carattere collettivo contrario alla Convenzione. Infine, ha dichiarato che vi è stata violazione dell'art. 13 CEDU in combinato disposto con gli articoli 3 e 4 del Prot. n. 4 CEDU, avendo accertato nel diritto interno la mancanza di un ricorso effettivo per formulare i loro motivi relativi agli articoli citati.
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Sentenza del: 27/08/2015
N° ricorso: 46470/11
Parrillo - in materia di diritto alla vita privata e familiare. La ricorrente si era sottoposta a un trattamento di fecondazione medicalmente assistita, all'esito del quale erano stati fecondati 5 embrioni. Senonché, deceduto il compagno a Nassiriya nel novembre 2003, ella aveva deciso di rinunziare all'impianto e gli embrioni erano stati posti in crio-conservazione. La ricorrente aveva successivamente chiesto di donarli a fini di ricerca. Tale richiesta era stata respinta, in osservanza dell'art. 13 della legge n. 40 del 2004. Sicché la ricorrente, invocando l'art. 8 CEDU, si era rivolta alla Corte EDU. La Seconda sezione ha deferito la questione alla Grande Chambre, la quale ha dichiarato non sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, in ragione della considerazione che la materia della fecondazione assistita rientra - sì - nell'ambito di applicazione dell'art. 8 ma i suoi diversi e intricati profili lasciano agli Stati nazionali un ampio margine di discrezionalità legislativa, tanto ciò è vero che sul tema specifico della donazione degli embrioni a fini scientifici non si è formato un consenso maggioritario tra i paesi sottoscrittori della Convenzione. Né la Corte EDU ha condiviso gli argomenti della ricorrente volti a porre in luce l'irragionevolezza, da un lato, del consentire la ricerca su embrioni fecondati all'estero e l'interruzione della gravidanza e, dall'altro, vietare la ricerca sugli embrioni fecondati in vitro in Italia (al riguardo, si ricordi che la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima la disposizione che vietava la diagnosi pre-impianto proprio sulla base dell'incongruenza di consentire al contempo l'interruzione della gravidanza - sentenza n. 96 del 2015, anche conformemente alla sentenza Costa e Pavan del 2014). Lo Stato italiano, introducendo nell'ordinamento il divieto di sperimentazione su embrioni umani a fini di ricerca scientifica - secondo la Corte - non ha oltrepassato il margine di apprezzamento che l'art.8, § 2 gli consente.
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Sentenza del: 21/07/2015
N° ricorso: 18766/11, 36030/11)
Oliari e altri - in materia di riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. Tre coppie omosessuali hanno adito la Corte EDU lamentando che l'ordinamento giuridico italiano non consente a persone dello stesso sesso di contrarre matrimonio né riconosce altre forme di unioni civili. Invocando l'articolo 8 CEDU (diritto alla vita privata e familiare), da solo e in combinato disposto con l'articolo 14 (divieto di discriminazione), essi hanno sostenuto di essere vittime di una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale contraria alla Convenzione.
La Corte, all'unanimità, ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell'art. 8 CEDU, avendo accertato che la protezione giuridica attualmente offerta alle coppie dello stesso sesso in Italia non solo è incapace di provvedere ai bisogni fondamentali di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è sufficientemente certa. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che l'Italia sia venuta meno all'obbligo di assicurare ai ricorrenti una cornice legale specifica che riconoscesse e proteggesse la loro unione. In particolare nella sentenza è stato evidenziato che il riconoscimento legale delle coppie omosessuali non rappresenterebbe un peso particolare per lo Stato italiano. A giudizio della Corte, in alternativa all'istituto del matrimonio, un'unione civile o una partnership registrata sarebbe il modo più adeguato per riconoscere legalmente le coppie dello stesso sesso.
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Sentenza del: 30/06/2015
N° ricorso: 39294/09
Peruzzi - in materia di libertà di espressione.Il ricorrente è un avvocato, condannato in via definitiva per il reato di diffamazione. Nel 2011 aveva inviato al CSM una lettera nella quale si era lamentato del comportamento tenuto da un giudice del tribunale di Lucca, e ne aveva diffuso il contenuto con una "circolare" indirizzata a vari giudici del medesimo tribunale. Dopo la condanna definitiva, invocando l'art. 10 CEDU relativo alla libertà di espressione, aveva adito la Corte EDU e sostenuto che la condanna stessa era insufficientemente motivata. Nella lettera egli infatti si era limitato ad esporre le proprie considerazioni sui diversi modi di interpretare ed esercitare il mestiere di giudice, mentre non sarebbe stata provata la sua intenzione di minare la reputazione e l'integrità del giudice. La Corte - con una maggioranza di 5 a 2 - ha ritenuto infondata la doglianza. A giudizio della Corte, l'ingerenza nel diritto del ricorrente alla libertà di espressione può essere ragionevolmente ritenuta «necessaria in una società democratica» allo scopo di tutelare la reputazione altrui e garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario ai sensi dell'articolo 10 § 2. Di qui l'accertamento di non violazione di questa disposizione.
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Sentenza del: 21/06/2015
N° ricorso: 38369/09
Schipani e altri - in materia di diritto ad un processo equo. Il caso prende le mosse dal ricorso intentato da alcuni medici contro il Governo italiano, al fine di ottenere la riparazione dei danni subiti in ragione del recepimento tardivo nel diritto interno delle direttive comunitarie che riconoscevano loro il diritto di percepire, durante il periodo di formazione professionale, una remunerazione adeguata. A fronte del rigetto delle loro istanze in tutti i gradi di giudizio, essi hanno adito la Corte EDU, lamentando in particolare la decisione della Corte di Cassazione di rigettare il ricorso senza sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia e senza motivare la sua decisione su questo punto. La Corte EDU ha constatato la violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, relativo al diritto ad un processo equo, non avendo trovato nella sentenza contestata alcun riferimento alla richiesta di rinvio pregiudiziale formulata dai ricorrenti e alle ragioni per le quali è stato ritenuto che la questione sollevata non meritasse di essere trasmessa alla CGCE.