Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto
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Sentenza del: 02/03/2017
N° ricorso: 41237/14
Talpis - in materia di violenza domestica. Il caso prende le mosse dalle ripetute violenze domestiche ai danni della ricorrente e della figlia, l'ultima delle quali sfociata nell'uccisione del figlio che era intervenuto in difesa della madre. La ricorrente, invocando gli articoli 2, 3 e 8 della Convenzione, ha adito la Corte EDU lamentando che le autorità nazionali non avevano adottato le misure necessarie e adeguate per proteggere la vita sua e dei suoi figli, impendendo la perpetrazione di ulteriori violenze.
La Corte dichiara sussistenti la violazione dell'articolo 2, in ragione dei ritardi e della sottovalutazione da parte delle autorità italiane delle denunce della ricorrente; e dell'art. 3, in ragione del conseguente inadempimento degli obblighi positivi di protezione rispetto ai trattamenti inumani e degradanti subiti dalla ricorrente da parte del marito violento. La Corte ha altresì ravvisato la violazione dell'art. 14, in combinato disposto con gli articoli 2 e 3, sotto il profilo dell'inadempimento da parte dello Stato dell'obbligo di protezione delle donne - anche quali vittime vulnerabili - contro le violenze domestiche.
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Sentenza del: 23/02/2017
N° ricorso: 64297/12
D'Alconzo - in materia di affidamento di minori. Il caso inerisce a una complessa vicenda di separazione tra due genitori (la madre statunitense e il padre italiano) di due figli minori. In epoca immediatamente successiva alla separazione, la madre aveva portato con sé i figli negli Stati Uniti, riportandone una condanna per sottrazione di minori e l'ordine di farli rientrare in Italia. Successivamente, dopo il rientro in Italia, l'autorità giudiziaria aveva disposto l'affidamento dei minori alla madre, stabilendo un diritto di visita per il padre (un fine settimana ogni due e un pomeriggio a settimana). La vicenda si era ulteriormente complicata, in ragione di accuse incrociate di abusi sessuali sui figli e di istanze volte a privare l'altro genitore della relativa potestà. I diversi procedimenti erano stati assistiti da una pluralità di perizie, rese sui vari profili rilevanti per il caso. Il padre aveva pertanto adito la Corte EDU lamentando la violazione dell'articolo 8, sia in ragione della eccessiva durata dei diversi procedimenti, sia della pretesa lesione del suo diritto di visita ai figli.
La Corte constata che i procedimenti inerenti sia all'idoneità dei genitori a esercitare la relativa responsabilità, sia all'affidamento dei figli, si sono protratti in modo non ragionevole e, pertanto, accerta la violazione dell'art. 8 CEDU, sotto il profilo procedurale. Verificato invece che, quantunque in modo discontinuo e frammentato, il ricorrente ha esercitato il suo diritto di visita, essa rigetta la doglianza sotto il profilo dell'effettività del diritto medesimo.
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Sentenza del: 23/02/2017
N° ricorso: 43395/09
De Tommaso - in materia di misure di prevenzione. Il ricorrente era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di cui alla legge 1423 del 1956. La misura di prevenzione era stata irrogata dal tribunale ma poi annullata in corte d'appello. Il provvedimento di prevenzione era stato motivato sulla base di un giudizio di pericolosità, dovuta ad alcuni precedenti penali e alle sue frequentazioni con ambienti della criminalità organizzata. Il contenuto del provvedimento era consistito - tra l'altro - nel divieto di frequentare taluni luoghi (bettole, sale giochi e simili), di abbandonare il comune di residenza e di rincasare oltre le ore 22.
Con riferimento al periodo intercorrente tra il giudizio di primo grado e quello d'appello (circa due anni), il ricorrente ha chiesto l'accertamento della violazione degli articoli 5 (libertà e sicurezza), 6 (giusto processo) e 13 (ricorso effettivo) della Convenzione e 2 del Protocollo addizionale n. 4 (libertà di circolazione). I motivi del ricorso si basavano tra l'altro sulla pretesa insufficiente previsione legislativa in ordine al contenuto della misura di prevenzione, al fatto che non si era tenuta un'udienza pubblica prima della sua irrogazione e che la sua libertà era stata pertanto ingiustamente conculcata, senza la possibilità di rimedi giurisdizionali.
La Grande Camera - cui la Seconda sezione ha deferito la questione - ha ritenuto sussistenti le violazioni dell'art. 2 del Protocollo n. 4 CEDU, relativo alla libertà di circolazione, stante l'insufficiente previsione legislativa sui singoli contenuti della misura irrogata; e dell'articolo 6 per l'assenza di un'udienza pubblica. La Grande Camera ha invece rigettato le doglianze sugli articoli 5 e 13 CEDU.
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Sentenza del: 09/02/2017
N° ricorso: 76171/13
Solarino - in materia di affidamento di minori. Il caso concerne la lamentata violazione dell'articolo 8 CEDU da parte di un uomo che, separatosi dalla moglie, per alcuni anni non aveva potuto esercitare il diritto di visita con la figlia minore. Le autorità giudiziarie italiane avevano dapprima affidato la figlia alla madre e poi vagliato insistite denunce della madre medesima di abusi sessuali asseritamente commessi dal padre e dalla di lui famiglia in danno della figlia. Successivamente, l'uomo era stato prosciolto da ogni accusa e infine il giudice competente aveva disposto l'affidamento congiunto della minore. Nondimeno la Corte accerta la violazione dell'articolo 8 della Convenzione, per l'immotivata limitazione da parte delle autorità italiane del diritto di visita nel periodo compreso tra settembre 2009 e novembre 2013.
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Sentenza del: 09/02/2017
N° ricorso: 26128/04
Messana - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU, relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
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Sentenza del: 24/01/2017
N° ricorso: 25358/12
Paradiso e Campanelli - in materia di diritto alla vita privata e familiare. La pronuncia inerisce al ricorso di due coniugi che avevano chiesto all'ufficiale di Stato civile italiano di trascrivere l'atto di nascita di un bambino nato in Russia da madre surrogata. Si erano visti opporre non solo il diniego ma anche la sottrazione del bambino, con conseguente suo affidamento ai servizi sociali (pur dopo sei mesi di convivenza con loro). La seconda sezione della Corte EDU aveva accertato la violazione dell'articolo 8 della Convenzione (vedi sentenza del 27 gennaio 2015). La Grande Chambre ribalta il giudizio, dichiarando - con undici voti contro sei - che non vi è stata violazione. La Corte ritiene che i giudici italiani, secondo i quali l'allontanamento del minore dalla famiglia ricorrente non aveva cagionato un pregiudizio grave o irreparabile, hanno svolto un accettabile bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, rimanendo nei limiti dell'ampio margine di apprezzamento di cui le autorità nazionali dispongono in questi casi. Viceversa, se i giudici interni avessero consentito al minore di rimanere con i ricorrenti, anche in violazione delle disposizioni che regolano l'accertamento dello status di figlio, questo avrebbe avuto l'effetto pratico di un aggiramento delle norme di ordine pubblico interno richiamati dal diritto internazionale privato italiano.
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Sentenza del: 15/12/2016
N° ricorso: 16483/12
Khlaifia e altri - in materia di espulsioni. Alcuni cittadini di nazionalità tunisina, sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, erano stati trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola, dove erano rimasti per alcuni giorni, fino alla scoppio di una rivolta dei migranti per le condizioni igieniche e di vita cui erano sottoposti. Trasferiti a bordo di due navi nel porto di Palermo, dopo quattro giorni erano stati rimpatriati in Tunisia. Essi avevano adito la Corte EDU lamentando diverse violazioni della Convenzione. Con sentenza del 1° settembre 2015, la Seconda sezione della Corte ha condannato l'Italia per l'illegittima detenzione dei ricorrenti, per le condizioni disumane e degradanti presso il Centro di accoglienza nonché per aver sottoposto i ricorrenti ad un allontanamento collettivo contrario alla Convenzione. Il Governo italiano ha presentato istanza di rinvio alla Grande Chambre che, all'unanimità, ha riconosciuto: 1) la violazione dell'art. 5 CEDU (diritto alla libertà e alla sicurezza), in quanto la privazione della libertà dei ricorrenti non si era conformato al principio generale della certezza del diritto e contrastava con lo scopo di proteggere l'individuo da detenzione arbitraria, perché priva di base legale nel diritto italiano; 2) la violazione dell'art. 13 CEDU (diritto a un ricorso effettivo) in relazione all'art. 3 CEDU (divieto di trattamenti disumani e degradanti), poiché il Governo italiano non aveva indicato alcun rimedio che potesse essere esperito dai ricorrenti per denunciare le condizioni di trattenimento.La Grande Camera non ha ritenuto invece sussistente la violazione dell'art. 3 CEDU sotto il profilo sostanziale, né la violazione dell'art. 4, Protocollo 4 alla CEDU (divieto di espulsioni collettive) e dell'art. 13 CEDU rispetto a quest'ultimo.
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Sentenza del: 06/10/2016
N° ricorso: 3342/11, 3391/11, 3408/11, 3447/11
Richmond Yaw e altri - in materia di diritto alla libertà e alla sicurezza. Il giudice di pace di Roma aveva convalidato il trattenimento presso il centro di identificazione e di espulsione («il CIE») disposto nei confronti dei ricorrenti, quattro cittadini ghanesi fuggiti dal loro paese e arrivati in Italia nel giugno 2008. Successivamente, il medesimo giudice di pace aveva disposto la proroga del trattenimento su istanza del questore, in ragione del prolungarsi delle operazioni d'identificazione dei ricorrenti. La Cassazione, adita dai ricorrenti, aveva annullato la decisione del giudice di pace di prorogare il trattenimento nel CIE, poiché era stato adottato senza previa notifica dell'udienza agli interessati e dunque senza contradditorio.
In epoca ancora successiva, i ricorrenti erano stati liberati per la pendenza della loro richiesta di asilo.
I ricorrenti intentarono distinte azioni civili dinanzi al tribunale di Roma contro lo Stato italiano per ottenere la riparazione del danno da ingiusta detenzione. Il tribunale di Roma respinse le domande sulla base del fatto che la legittimità della detenzione iniziale non era, in quanto tale, inficiata dalla sola circostanza che la decisione del giudice di pace di prorogare il trattenimento era stata successivamente annullata.
I ricorrenti hanno quindi adito la Corte EDU e, invocando l'art. 5 CEDU relativo al diritto alla libertà e alla sicurezza lamentavano, in particolare: 1) l'illegittimità della loro detenzione; 2) la mancanza nell'ordinamento interno di un rimedio disponibile per ottenere riparazione per le violazioni da loro dedotte.
La Corte - premesso che già dal 2002 la giurisprudenza interna era chiara circa la necessità di rispettare il principio del contraddittorio, anche in caso di proroga di una misura di detenzione, e che l'omessa convocazione degli interessati e del loro avvocato e l'omessa fissazione di una udienza costituiscono una «irregolarità grave e manifesta», ai sensi della sua giurisprudenza - conclude che la proroga della detenzione dei ricorrenti ai fini della loro espulsione non era legittima per mancanza del contradditorio e che pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 5 § 1 lettera f) della Convenzione. La Corte, inoltre, rilevata l'inapplicabilità dell'articolo 314 del CPP, relativo alla domanda di riparazione per ingiusta detenzione, al caso dei ricorrenti, ritiene che questi ultimi non disponessero di alcun mezzo per ottenere, con un sufficiente grado di certezza, riparazione per la violazione dell'articolo 5 § 1 lettera f) della Convenzione. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione. -
Sentenza del: 15/09/2016
N° ricorso: 43299/12
Giorgioni - in materia di affidamento di minori. Il ricorrente aveva adito la Corte EDU lamentando la violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare, in quanto i giudici nazionali non avrebbero rispettato e garantito concretamente il suo diritto di visita alla figlia minore. In particolare il ricorrente aveva sostenuto che le autorità e i servizi sociali avevano tollerato in via di fatto il comportamento della madre del bambino, che ha sempre ostacolato l'esercizio del suo diritto di visita. La Corte constata la violazione dell'art. 8 CEDU, relativo al diritto alla vita privata e familiare, limitatamente al periodo tra agosto 2006 e novembre 2010, in quanto le autorità nazionali non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto di visita del ricorrente. Esse avevano inoltre tollerato per circa quattro anni che la madre, con il suo comportamento, impedisse l'instaurarsi di una vera relazione tra il ricorrente e suo figlio.
La Corte ritiene invece che le autorità nazionali, a partire da novembre 2010, abbiano compiuto gli sforzi che si potevano ragionevolmente attendere per garantire il rispetto del diritto di visita del ricorrente, conformemente alle esigenze del diritto al rispetto della vita familiare garantito dall'articolo 8 della Convenzione. Pertanto non vi è stata, per tale periodo, violazione del diritto alla vita familiare del ricorrente.
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Sentenza del: 15/09/2016
N° ricorso: 32610/07
Trevisanato - in materia di diritto ad un processo equo sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale. La causa ha per oggetto la declaratoria di inammissibilità del ricorso promosso innanzi alla Corte di cassazione, per inosservanza dell'articolo 366-bis del codice di procedura civile. La Cassazione, adita dal ricorrente nel giudizio relativo al suo licenziamento, aveva infatti respinto il ricorso in quanto privo della formulazione di un quesito di diritto che permettesse di individuare il contenuto del ricorso e il ragionamento della parte, secondo quanto previsto dalla normativa in vigore all'epoca (la legge n. 69 del 2009). Il sig. Trevisanato ha quindi adito la Corte EDU lamentando la violazione dell'art. 6, § 1 CEDU, relativo al diritto ad un processo equo sotto il profilo del diritto a un tribunale.
La Corte ha dichiarato non sussistente la violazione dell'articolo 6, § 1 della Convenzione. Chiedere al ricorrente di concludere il ricorso con un paragrafo di sintesi, che riassuma il ragionamento seguito ed espliciti il principio di diritto ritenuto violato, non avrebbe comportato alcuno sforzo particolare supplementare da parte del ricorrente. Pertanto, la decisione di inammissibilità non può essere considerata quale interpretazione formalistica della legalità ordinaria che impedisca l'esame effettivo del merito del ricorso promosso dall'interessato.