Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto
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Sentenza del: 01/09/2016
N° ricorso: 46154/11
Valle Pierimpiè Società Agricola S.P.A. - di cancellazione dal ruolo per composizione amichevole di una controversia relativa ad una fattispecie di occupazione di terreni demaniali.
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Sentenza del: 01/09/2016
N° ricorso: 36043/08
Huzuneanu - in materia di diritto ad un processo equo. Il ricorrente, un cittadino rumeno condannato in contumacia, aveva presentato domanda di restituzione in termini per impugnare la sua condanna, ai sensi dell'art. 175 cpp, sostenendo di non essersi sottratto volontariamente alla giustizia e di non avere avuto conoscenza effettiva del procedimento penale intentato nei suoi confronti fino al momento del suo arresto. La Corte d'appello aveva accolto la domanda di restituzione in termini, consentendogli però unicamente di proporre ricorso in cassazione avverso la sentenza di condanna, in quanto questo era l'unico ricorso che l'avvocato nominatogli d'ufficio non aveva esperito. Avverso tale decisione il ricorrente propose ricorso, sostenendo di avere diritto a un giudizio sul merito e non di mera legittimità. Le Sezioni Unite della Cassazione avevano ritenuto che il ricorrente non potesse beneficiare della riapertura del processo e prendervi parte per presentare la sua difesa, in quanto l'avvocato d'ufficio aveva già esaurito le vie di ricorso disponibili. Il sig. Huzuneanu, dopo aver promosso invano un nuovo ricorso per cassazione sulla base di una sentenza della Corte costituzionale a lui favorevole, ha adito la Corte EDU.
La Corte ritiene che i diritti di difesa di un imputato giudicato in contumacia - che non si è sottratto alla giustizia e non ha rinunciato inequivocabilmente alle sue garanzie procedurali - non possono essere ridotti al punto da renderli inoperanti con il pretesto di garantire altri diritti fondamentali del processo, come il diritto al «termine ragionevole» o quello del «ne bis in idem». Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto la possibilità di ottenere una nuova decisione sulla fondatezza dell'accusa sia in fatto che in diritto, sebbene la sua assenza al processo non gli fosse imputabile. Per questo motivo vi è stata violazione dell'art. 6 CEDU.
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Sentenza del: 30/06/2016
N° ricorso: 51362/09
Taddeucci e McCall - in materia di diritto alla vita privata e familiare. I ricorrenti - una coppia omosessuale - si trasferirono in Italia nel 2003. Douglas McCall, cittadino neozelandese, domandò un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell'art. 30, comma 1, lettera c) del testo unico sull'immigrazione del 1998. La richiesta venne respinta poiché le autorità italiane ritennero mancante il presupposto del legame familiare, non potendosi qualificare come «coniugi» i ricorrenti. Nel 2005 il tribunale civile di Firenze accolse il loro ricorso, con una sentenza che venne impugnata dal Ministero dell'Interno. La decisione venne ribaltata nei gradi successivi. In particolare, la Cassazione escluse il diritto del cittadino neozelandese al riconoscimento di un titolo di soggiorno per motivi familiari, sulla base della non equiparabilità della condizione di partner di fatto di un cittadino italiano a quella di coniuge.
I ricorrenti hanno adito la Corte EDU e, invocando l'art. 14 (Divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 8 (Tutela della vita privata e familiare), hanno lamentato che lo Stato italiano, negando loro il ricongiungimento familiare, avrebbe impedito la piena garanzia e tutela del diritto alla vita familiare. La coppia, non potendo accedere al matrimonio né ad altra forma di unione, avrebbe finito così per rimanere esclusa dalla possibilità di esercitare il diritto al ricongiungimento e, in senso più ampio, il diritto fondamentale a vivere liberamente la propria condizione.
La Corte ha ritenuto che, all'epoca dei fatti, decidendo di trattare, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, le coppie omosessuali alla stregua delle coppie eterosessuali che non avevano regolarizzato la loro situazione, lo Stato italiano ha violato il diritto dei ricorrenti di non subire discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale nel godimento dei loro diritti rispetto all'articolo 8 della Convenzione. Di qui la violazione dell'articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 8 CEDU.
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Sentenza del: 23/06/2016
N° ricorso: 53377/13
Strumia - in materia di affidamento di minori. Il ricorrente aveva adito la Corte EDU lamentando la violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare in quanto i giudici nazionali non avrebbero rispettato e garantito concretamente il suo diritto di visita alla figlia minore. In particolare il ricorrente denunciava una inerzia delle autorità di fronte al comportamento della madre della minore, affermando che esse non avrebbero compiuto sforzi né adottato misure provvisorie per permettergli di esercitare il suo diritto di visita e impedire l'alienazione parentale che sarebbe stata riscontrata nella figlia. La Corte ha constatato la violazione dell'art. 8 CEDU, relativo al diritto alla vita privata e familiare, in quanto le autorità nazionali non si sono adoperate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto di visita del ricorrente e hanno dunque violato il diritto dell'interessato al rispetto della sua vita familiare.
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Sentenza del: 23/06/2016
N° ricorso: 3977/13
Ben Moumen - in materia di diritto ad un processo equo. Il ricorrente era stato condannato per il reato di violenza sessuale all'esito di un procedimento, nel corso del quale l'unico testimone a carico non era stato ascoltato in sede dibattimentale. Stante l'irreperibilità, si era avuta la lettura e l'acquisizione al fascicolo del dibattimento della deposizione che il testimone aveva fatto ai carabinieri. Il ricorrente ha quindi adito la Corte EDU lamentando di essere stato condannato sulla base di quella deposizione, in violazione del principio del contradditorio (art. 6 CEDU). La Corte considera che la deposizione del testimone durante le indagini - sebbene determinante ai fini della pronuncia di condanna - sia stata sostanzialmente vagliata alla luce di altri elementi dibattimentali e che il fatto che il ricorrente non abbia potuto interrogare o far interrogare il testimone non abbia reso iniquo il processo nel suo complesso. Di qui la pronuncia di non violazione.
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Sentenza del: 23/06/2016
N° ricorso: 22567/09
Brambilla e altri - in materia di libertà di espressione. Il caso prende le mosse da una perquisizione svolta a carico di tre giornalisti di Lecco, i quali, per procurarsi le notizie, ricorrevano anche alla captazione tramite apparecchi radiofonici delle conversazioni di polizia e carabinieri. Tratti a giudizio per illecita presa di cognizione di comunicazioni e uso di apparecchiature atte a intercettare, essi furono assolti in primo grado sulla base dell'assunto che le suddette comunicazioni - su apparecchiature ricetrasmittenti a frequenze sostanzialmente aperte - non rientrano nel novero delle conversazioni protette dall'art. 15 della Costituzione e dalle norme penali incriminatrici. Tale pronuncia venne ribaltata in secondo grado e gli imputati furono condannati sulla base della considerazione che le comunicazioni tra membri delle forze dell'ordine nell'esercizio delle loro funzioni sono di per sé riservate e che l'accesso alle loro frequenze è, comunque, vietato. La condanna venne confermata anche in Cassazione.
I ricorrenti hanno quindi adito la Corte EDU invocando la violazione dell'articolo 10 della Convenzione, in materia di diritto di libera espressione e di connesso diritto di cronaca.
La Corte europea respinge il ricorso, ritenendo che non vi sia stata alcuna violazione dell'articolo 10. Nel caso di specie, la Corte osserva che l'interferenza del pubblico potere sull'esercizio del diritto riconosciuto dalla Convenzione, sebbene sussistente, non solo era prevista dalla legge ma è stata anche proporzionata alla scopo da raggiungere, vale a dire quello di tutelare la riservatezza e l'efficacia delle comunicazioni tra membri delle forze dell'ordine nell'espletamento dei loro compiti di contrasto del crimine.
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Sentenza del: 26/05/2016
N° ricorso: 5376/11
M.C. e altri - in materia di diritto ad un processo equo. Di cancellazione della causa dal ruolo per intervenuto accordo tra le parti, giudicato equo dalla Corte, relativamente alla somma che il Governo italiano dovrà versare ai ricorrenti a titolo di risarcimento dei danni per la violazione dell'art. 2 e dell'art. 6 § 1, 14 e 1 Prot. n. 1 CEDU, già constatate con sentenza del 3 settembre 2013.
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Sentenza del: 28/04/2016
N° ricorso: 68884/13
Cincimino - in materia di affidamento di minori. La ricorrente, madre di una bambina, in sede di separazione giudiziale dal marito era stata dichiarata decaduta dalla potestà genitoriale e le era stato vietato qualsiasi incontro con la figlia. Le perizie psichiatriche ordinate dal tribunale avevano infatti evidenziato che la ricorrente soffriva di un disturbo della personalità che la portava ad assumere un comportamento pregiudizievole per lo sviluppo psico-fisico della minore. Tutte le istanze volte a disporre una nuova perizia psichiatrica per verificare le sue capacità genitoriali vennero respinte. La ricorrente ha quindi adito la Corte EDU lamentando la violazione del suo diritto al rispetto della vita familiare, contestando alle autorità la mancata adozione di misure appropriate per mantenere un legame tra madre e figlia.
La Corte, considerato che dal 2006 non era stata svolta alcuna nuova perizia psichiatrica indipendente con riguardo alla ricorrente per valutare se la stessa continuasse a soffrire del disturbo della personalità che era stato alla base dell'allontanamento della figlia e se vi fossero ancora, dal punto di vista degli interessi della minore, ragioni pertinenti e sufficienti per mantenere delle misure che vietano qualsiasi contatto tra la ricorrente e la figlia ormai dodicenne, ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, in quanto lo Stato ha contravvenuto agli obblighi positivi posti a suo carico dall'articolo medesimo.
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Sentenza del: 25/02/2016
N° ricorso: 17708/12, 17717/12, 17729/12, 22994/12
Olivieri e altri - in materia di diritto a un ricorso effettivo e ragionevole durata del processo. Il caso prende le mosse dal ricorso promosso ex lege Pinto per lamentare la durata eccessiva di un procedimento amministrativo. La corte d'appello competente dichiarò inammissibile il ricorso, avendo constatato che nel corso del giudizio dinanzi al giudice amministrativo i ricorrenti non avevano presentato istanza di prelievo, nuova condizione di ammissibilità dei ricorsi «Pinto», introdotta con il decreto-legge n. 114 del 25 giugno 2008. I ricorrenti hanno quindi adito la Corte EDU e, nel lamentare l'eccessiva durata del giudizio amministrativo, eccepivano che l'obbligo di presentare l'istanza di prelievo si sarebbe tradotto in una violazione del loro diritto a un tribunale dal punto di vista dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, rimettendo in discussione l'effettività di detto ricorso.
La Corte, ritenendo di dover esaminare tale ultimo motivo di ricorso sotto il profilo dell'art. 13 CEDU, ha affermato che l'inammissibilità automatica dei ricorsi «Pinto», basata unicamente sul fatto che i ricorrenti non hanno presentato l'istanza di prelievo, ha privato questi ultimi della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Pertanto, vi è stata violazione dell'articolo 13 della Convenzione. La Corte ha altresì constatato la violazione dell'art. 6 § 1 per l'eccessiva durata del processo.
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Sentenza del: 23/02/2016
N° ricorso: 44883/09
Nasr e Ghali - in materia di proibizione della tortura e diritto alla libertà e sicurezza. Due cittadini egiziani, il sig. Osama Mustafa Nasr (noto anche con il nome di «Abu Omar») e sua moglie, sig.ra Nabila Ghali, ricorrono alla Corte EDU sulla base degli articoli 3, 5, 6, 8 e 13 della Convenzione. I ricorrenti evidenziano che il marito sarebbe stato vittima nel 2001 di un'operazione di consegna straordinaria (extraordinary rendition) condotta da agenti della CIA con l'aiuto di agenti dei servizi d'informazione italiani. Aggredito e immobilizzato in strada da sconosciuti, Abu Omar sarebbe stato trasportato nella base militare americana di Aviano in Italia e poi alla base militare americana di Ramstein, in Germania. Qui - nella ricostruzione del ricorso - sarebbe stato consegnato ad altri agenti della CIA e imbarcato su un volo speciale per l'Egitto, dove sarebbe stato detenuto in segreto e avrebbe subito torture e maltrattamenti.
Nella loro materialità, i fatti erano stati in larga misura accertati in diverse sedi giudiziali. Tuttavia, la procedura penale a carico degli agenti italiani imputati di sequestro di persona era stata lunga e tortuosa, soprattutto in ragione dell'opposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio su diverse circostanze oggetto di potenziale cognizione del giudice. Si erano avuti persino diversi conflitti d'attribuzione tra potere giudiziario e Presidente del Consiglio innanzi alla Corte costituzionale, vertenti sulla correttezza dell'opposizione del segreto di Stato, i quali però erano tutti stati decisi in favore del potere esecutivo e a conferma del segreto medesimo. In definitiva, Abu Omar - pur in seguito liberato - non aveva ottenuto giustizia alcuna dall'Italia. Di qui la doglianza basata sui profili sia sostanziali sia procedurali del divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti (art. 3); divieto di detenzione illegittima (art. 5); giusto processo (art. 6); diritto alla vita privata e familiare (art. 8) e mancanza di ricorso effettivo (art. 13).
La Corte di Strasburgo - Quarta sezione - dichiara sussistente, con riferimento al ricorrente Abu Omar: 1) la violazione dell'art. 3 sotto il profilo sostanziale, in quanto le autorità italiane, permettendo ad agenti statunitensi di rapire il ricorrente sul territorio italiano nell'ambito del programma di «consegne straordinarie», hanno consapevolmente esposto l'interessato a un rischio reale di trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione nel paese di destinazione; 2) la violazione dell'art. 5, stante l'arbitrarietà della detenzione; 3) la violazione dell'articolo 8, in ragione dell'illegittimo allontanamento dal suo nucleo familiare.
La Corte dichiara sussistente, con riferimento alla moglie, sig.ra Ghali: 1) la violazione del profilo materiale dell'art. 3 della Convenzione, in quanto i dubbi e l'apprensione provati dalla ricorrente sulla sorte del marito, per un periodo ininterrotto e prolungato, hanno costituito un trattamento degradante; 2) la violazione dell'articolo 8 CEDU, per aver subito anche a livello familiare la scomparsa del coniuge per motivi illegittimi.
La Corte - infine - con riferimento a entrambi i ricorrenti, riconosce la violazione dell'art. 3 sotto l'aspetto procedurale, poiché l'opposizione del segreto di Stato su fatti e circostanze oggetto di potenziale accertamento giudiziale (unitamente alla grazia concessa ad alcuni imputati statunitensi) ha prodotto l'effetto di evitare la condanna dei colpevoli dell'illegittimo sequestro della persona del ricorrente, con ciò svuotando l'effetto deterrente delle disposizioni nazionali poste a tutela della libertà fisica e morale dei ricorrenti. L'inchiesta condotta - ad avviso della Corte - per quanto effettiva e approfondita, e combinata con un processo che ha portato all'individuazione dei colpevoli e alla condanna di alcuni di loro, non ha però avuto il suo esito naturale, vale a dire la punizione dei responsabili.
Per le stesse ragioni, la Corte constata la violazione dell'art. 13 in combinato disposto con gli articoli 3 e 8 della Convenzione, e dell'art. 13 in combinato disposto con gli articoli 3, 5 e 8 CEDU, rispettivamente nei confronti della ricorrente, sig.ra Ghali, e in capo al ricorrente Abu Omar. Resta quindi assorbita la questione della violazione del giusto processo.