Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto
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Sentenza del: 05/07/2018
N° ricorso: 30015/09, 34644/09, 10723/10
Castello del Poggio s.s. e altri - in materia di diritto a un processo equo, sotto il profilo dell'ingerenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia. Constata la violazione dell'art. 6, paragrafo 1, della CEDU, in relazione a un intervento legislativo di interpretazione autentica con effetto retroattivo in materia di sgravi dei contributi previdenziali in favore delle aziende agricole, che ha avuto un impatto decisivo sull'esito di un giudizio pendente senza che vi fossero motivi imperativi di interesse pubblico per la sua applicazione retroattiva.
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Sentenza del: 05/07/2018
N° ricorso: 24/11
Centro Demarzio s.r.l. - in materia di protezione della proprietà. Constata la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in relazione a una sentenza che ha dichiarato non risarcibile, in base alla scusabilità dell'errore in cui era incorsa l'amministrazione, il danno subìto da una società medico-diagnostica a seguito dell'illegittima revoca di una convenzione stipulata con il Servizio sanitario nazionale. Secondo la Corte, l'errore dell'amministrazione, anche se determinato da mancanza di chiarezza della legge, non può gravare sul ricorrente, in quanto il principio di legalità esige che le disposizioni di diritto interno siano sufficientemente accessibili, precise e prevedibili.
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Sentenza del: 28/06/2018
N° ricorso: 1828/06, 34163/07,19029/11
G.I.E.M. s.r.l. e altri
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Sentenza del: 22/02/2018
N° ricorso: 65173/09
Drassich n. 2 - in materia di diritto alla difesa. Con riferimento a un giudizio ex art. 625-bis c.p.p., dichiara non sussistente la violazione dell'art. 6, paragrafi 1 e 3, CEDU, sotto il profilo del diritto dell'imputato di essere informato della natura e dei motivi dell'accusa formulata a proprio carico e del diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la difesa.
Nel caso di specie la Corte ritiene che il ricorrente - preventivamente informato al momento dell'avvio del nuovo giudizio per cassazione per il tramite dei suoi difensori - fosse sufficientemente consapevole della riqualificazione del fatto ascrittogli e che non vi fosse dunque bisogno di alcuna notificazione formale del nuovo capo d'accusa, in quanto l'articolo 6, par. 3, non impone alcuna forma particolare circa le modalità con le quali l'imputato deve essere informato della natura e dell'oggetto dell'accusa mossa contro di lui. Quanto all'asserita impossibilità di comparire direttamente nel procedimento in Cassazione, la Corte europea ritiene che la presenza del ricorrente in udienza non fosse necessaria, in quanto la Corte di legittimità si è concentrata esclusivamente su punti di diritto e non ha esaminato questioni di fatto, peraltro non sollevate dalla difesa nelle memorie depositate.
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Sentenza del: 01/02/2018
N° ricorso: 54227/14
V.C. c. Italia - in materia di tortura (art. 3) e rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8).
Gli articoli 3 (Proibizione della tortura) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione pongono a carico degli Stati membri veri e propri obblighi positivi di protezione dei cittadini contro i rischi di maltrattamenti e violenza per atti criminali commessi anche da privati. Ciò, a condizione che: 1) tali cittadini siano concretamente individuabili in relazione a specifici rischi cui essi sono esposti; 2) tali rischi siano prevedibili (cioè conoscibili dalle autorità pubbliche), reali e immediati; 3) possano essere adottate misure che, in base a un giudizio di ragionevolezza, risultino idonee a prevenire i pericoli temuti. Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che l'Italia abbia violato le disposizioni in questione in quanto non ha protetto in tempi ragionevoli una minore, pur conoscendo le autorità pubbliche coinvolte la situazione di particolare vulnerabilità e di grave pericolo per l'incolumità fisica e psicologica in cui versava la minore stessa.
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Sentenza del: 11/01/2018
N° ricorso: 38259/09
Cipolletta - in materia di ragionevole durata. La causa trae origine dal ricorso proposto dal sig. Aldo Cipolletta, creditore di una società posta in liquidazione coatta amministrativa nel 1985. A seguito del deposito dello stato passivo da parte del commissario, il ricorrente fece opposizione nel 1985, e nel 1997 il Tribunale accolse la sua domanda apportando una variazione allo stato passivo.
Nel 2010 il procedimento risultava ancora pendente, ma il ricorrente non avviò la procedura Pinto in quanto inapplicabile, per giurisprudenza interna, alle procedure di liquidazione coatta amministrativa.
Il sig. Cipolletta si rivolse quindi alla CEDU, lamentando la violazione dell'articolo 6, comma 1, della Convenzione relativo al diritto ad una ragionevole durata del processo.
Nella decisione in esame, la Corte ha preliminarmente ritenuto applicabile al caso di specie l'art. 6, comma 1, della Convenzione e quindi sussistente la propria competenza in materia. Ciò in quanto, indipendentemente dalla qualificazione giuridica data a livello interno alla procedura della liquidazione coatta amministrativa, non vi è dubbio che la fase concernente l'opposizione allo stato passivo abbia natura giurisdizionale (come accade nella procedura fallimentare).
Pertanto, preso atto del fatto che la procedura volta a definire la contestazione avanzata dal ricorrente (definita reale e seria) si è protratta per più di 25 anni, la Corte ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 6, comma 1, CEDU in quanto la indubbia complessità della procedura medesima non giustifica la sua eccessiva durata
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Sentenza del: 14/12/2017
N° ricorso: 26431/12, 26742/12, 44057/12, 60088/12
Orlandi e altri - in materia di vita privata e familiare. Il caso inerisce al ricorso di diverse coppie omosessuali, le quali avevano domandato alle autorità italiane di trascrivere i loro matrimoni contratti all'estero. Nei ricorsi si fa riferimento alla circostanza che le coppie interessate vivevano in una relazione stabile e che, in diversi Paesi esteri (USA, Canada, Paesi Bassi e altri), esse avevano, sulla base della relativa legislazione, contratto matrimonio.
Viceversa, la legge italiana non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, né - fino all'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 - contemplava altri istituti volti ad assicurare alle persone dello stesso sesso, legate da vincoli stabili, forme equiparabili di tutela. Pertanto, le domande di trascrizione erano state respinte.
Di qui il ricorso alla Corte EDU, con l'invocazione della violazione dell'art. 8 (tutela della vita privata e familiare), in combinato disposto con gli articoli 14 ( divieto di discriminazione) e 12 (diritto degli uomini e delle donne a sposarsi e avere una famiglia).
La Corte ha ribadito il margine di apprezzamento discrezionale concesso ai Paesi sottoscrittori nel disciplinare il contenuto degli istituti di promozione e tutela della vita familiare. Da questo punto di vista, non ha ritenuto che l'assenza del riconoscimento del matrimonio omosessuale costituisca di per sé una violazione dell'articolo 8. Essa, tuttavia, ha affermato che le coppie omosessuali devono essere riconosciute sotto il profilo giuridico, in modo tale da riceverne sufficienti livelli di tutela. La Corte ha evidenziato che vari Stati sottoscrittori - pur non prevedendo il matrimonio - offrono alle coppie omosessuali l'istituto dell'unione civile, la quale garantisce effetti giuridici simili. Ove l'Italia non avesse predisposto alcuno strumento giuridico in tal senso, questo si sarebbe risolto - attraverso il diniego della trascrizione del matrimonio contratto all'estero - in una violazione dell'articolo 8. Tuttavia, la Corte ha preso atto dell'entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, che ha introdotto nell'ordinamento italiano le unioni civili. Pertanto, i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto la violazione dell'art. 8 CEDU (senza peraltro esaminare il suo combinato disposto con gli articoli 12 e 14), limitatamente al solo periodo intercorrente tra il rigetto della domanda di trascrizione del matrimonio e l'entrata in vigore della citata legge.
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Sentenza del: 07/12/2017
N° ricorso: 63190/16
Beccarini e Ridolfi - in materia di affidamento di minori. Il caso prende le mosse dal ricorso presentato dai nonni materni di tre bambini. Constatata l'incapacità della madre di prendersene cura, le autorità avevano affidato i minori ai nonni. A causa di complicazioni relazionali manifestate dai bambini, legati alla separazione dalla madre, i ricorrenti avevano chiesto aiuto ai servizi sociali. Nel 2012 questi ultimi avevano presentato al tribunale dei minori di Ferrara una relazione nella quale, accertata l'incapacità dei nonni di esercitare le responsabilità connesse alla cura dei nipoti, ne avevano suggerito il collocamento presso una casa famiglia e l'avvio della procedura per l'adozione. Dal 2012 al 2017, i ricorrenti non avevano più incontrato i nipoti, sebbene nel 2014 il tribunale avesse ordinato la ripresa graduale dei contatti.
I ricorrenti avevano quindi adito la Corte EDU, lamentando la violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare stante l'interruzione di ogni rapporto con i minori a partire dal 2012. In particolare, essi si erano doluti del fatto che nessuna autorità giudiziaria avesse disposto l'interruzione dei rapporti e che nessun esperto si era pronunciato circa la loro capacità di prendersi cura dei minori. Essi inoltre avevano eccepito la mancata esecuzione della decisione del tribunale dei minori del 2014 con la quale era stata disposta la ripresa graduale dei rapporti.
La Corte dichiara sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, in quanto le autorità nazionali non hanno profuso sforzi adeguati e sufficienti per mantenere il legame familiare tra i ricorrenti e i nipoti, violando così il loro diritto al rispetto della vita familiare. -
Sentenza del: 07/12/2017
N° ricorso: 4180/08 e altri
Frubona Cooperativa Frutticoltori Bolzano-Nalles S.C.A. e altri - in materia di diritto ad un processo equo, sotto il profilo della ingerenza del legislatore nell'amministrazione della giustizia. Nel corso degli anni '80 (del secolo scorso), la legislazione italiana prevedeva una serie di benefici fiscali e contributivi per le aziende agricole, con riguardo ai rapporti di lavoro da queste intrattenuti con i dipendenti. Nel luglio 1988 l'INPS, aveva emanato una circolare applicativa in cui si chiariva la natura alternativa tra i benefici fiscali e quelli contributivi. 50 società agricole, la cui sfera era stata attinta negativamente dalla determinazione dell'ente previdenziale, avevano adito la sede giurisdizionale per l'annullamento della circolare. Nelle more del giudizio, era stata approvata la legge n. 326 del 2003, che aveva recepito il contenuto della circolare, ribadendo la natura alternativa e non cumulativa dei benefici fiscali, da un lato, e previdenziali, dall'altro. Il contenzioso domestico era stato quindi definito in senso sfavorevole alle società agricole interessate. Queste avevano pertanto adìto la CEDU, lamentando la lesione del diritto a un processo equo, in ragione della retroattività della disposizione legislativa introdotta.
La Corte - conformandosi alla sentenza Silverfunghi c. Italia - conclude che vi è stata violazione dell'art. 6 della Convenzione.
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Sentenza del: 07/12/2017
N° ricorso: 35637/04
Arnoldi - in materia di ragionevole durata del processo. Il caso riguarda l'eccessiva durata di un procedimento penale, conclusosi con una sentenza di non luogo a procedere per l'intervenuta prescrizione del reato. La sig.ra Arnoldi, parte offesa, aveva adito la corte d'appello per ottenere l'indennizzo ai sensi della legge Pinto. Tale istanza era stata dichiarata inammissibile, posto che per l'ordinamento interno la ricorrente è considerata parte del procedimento penale, in quanto per il protrarsi della fase delle indagini preliminari il reato si era estinto per prescrizione prima ancora che venisse celebrata l'udienza preliminare, nella quale ella avrebbe potuto costituirsi parte civile. La Corte EDU, adita dalla ricorrente, ritiene che il periodo da prendere in considerazione, ai fini della valutazione della durata ragionevole di un procedimento, decorre dal momento in cui la persona che si ritiene vittima di una violazione esercita uno dei diritti o delle facoltà riconosciutele per legge. Pertanto, la Corte dichiara sussistente la violazione dell'art. 6, par. 1 CEDU, stante l'irragionevolezza della durata delle indagini preliminari, protrattesi per più di sette anni.