Internazionale, Camera dei Deputati - internazionale.camera.it

MENU

Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU)

Sentenze

Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto

  • Sentenza del: 21/10/2014

    N° ricorso: 17760/03, 17761/03, 19903/03, 19905/03, 19908/03, 19911/03, 19915/03, 20114/03

    Zucchinali e altri - in materia di ragionevole durata del processo.La Corte ha constatato in ciascuno dei ricorsi ad eccezione dei ricorsi nn. 17760/03 e 17761/03 una violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione, per l'eccessiva durata dei procedimenti principali. La Corte ha altresì riconosciuto la violazione dell'art. 6 § 1 CEDU anche in relazione al ritardo nel versamento delle somme di cui alla legge Pinto. Dichiara altresì che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 per quanto riguarda il ritardo nel pagamento dei risarcimenti Pinto nei ricorsi nn. 17760/03 e 17761/03.

  • Sentenza del: 21/10/2014

    N° ricorso: 16643/09

    Sharifi e altri contro Italia e Grecia - in materia di respingimenti. I ricorrenti sono trentadue cittadini afgani, due cittadini sudanesi e un cittadino eritreo, i quali affermano, in particolare, di essere entrati clandestinamente in Italia dalla Grecia e di essere stati immediatamente respinti verso tale paese, con il rischio di essere espulsi verso i rispettivi paesi di origine, dove avrebbero potuto rischiare la morte, o essere sottoposti a tortura o a trattamento inumano o degradante.

    I giudici di Strasburgo hanno ritenuto, a maggioranza, in relazione a quattro ricorrenti che avevano mantenuto contatti regolari con il loro difensore nel procedimento dinanzi alla Corte, che vi sia stata:

    1) violazione da parte della Grecia dell'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) in combinato disposto con l'articolo 3 (proibizione di trattamenti inumani o degradanti) CEDU in ragione della mancanza di accesso alla procedura di asilo per i suddetti ricorrenti e del rischio di espulsione verso l'Afghanistan, dove sarebbero stati probabilmente sottoposti a maltrattamenti;

    2) violazione da parte dell'Italia dell'articolo 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive di stranieri);

    3) violazione da parte dell'Italia dell'articolo 3, in quanto le autorità italiane, respingendo questi ricorrenti verso la Grecia, li avevano esposti ai rischi derivanti dalle carenze della procedura di asilo in tale paese; e violazione da parte dell'Italia dell'articolo 13 in combinato disposto con l'articolo 3 della Convenzione e 4 del Protocollo n. 4 in ragione della mancanza di accesso alla procedura di asilo o a qualsiasi altra via di ricorso nel porto di Ancona.

    La Corte ha ritenuto, in particolare, di condividere le preoccupazioni di diversi osservatori riguardo al respingimento automatico, attuato dalle autorità di frontiera italiane nei porti del Mar Adriatico, di persone che, nella maggioranza dei casi, erano consegnate ai comandanti dei traghetti per essere ricondotte in Grecia, e pertanto private di qualsiasi diritto procedurale e sostanziale.

    Essa ha inoltre ribadito che il sistema di Dublino - che serve per determinare lo Stato membro dell'Unione europea competente per l'esame della domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo - deve essere applicato in modo compatibile con la Convenzione. Pertanto, non poteva essere giustificata alcuna forma di allontanamento collettivo e indiscriminato facendo riferimento a tale sistema, e spettava allo Stato che eseguiva il respingimento garantire che il paese di destinazione offrisse garanzie sufficienti, nell'applicazione della sua politica di asilo, per impedire che la persona interessata fosse espulsa verso il suo paese di origine senza una valutazione dei rischi cui andava incontro.

  • Sentenza del: 23/09/2014

    N° ricorso: 46154/11

    Valle Pierimpiè Società Agricola S.P.A.- in materia di occupazione di terreni demaniali. La società ricorrente sosteneva di essere proprietaria per immemoriale di un complesso immobiliare e produttivo di cui facevano parte anche le c.d. valli da pesca, ovvero "terreni con corpi idrici circoscritti da barriere" siti nella Laguna di Venezia (in sostanza: una serie di terre attraversate da canali). Nel 1989 la Guardia di Finanza di Padova intimò alla società il rilascio delle terre in quanto appartenenti al demanio. Ne scaturì un contenzioso che, giunto in Cassazione, si concluse con la conferma della pronuncia resa in sede di appello che aveva accertato l'appartenenza al demanio pubblico dei terreni in questione e aveva dichiarato l'obbligo della società di corrispondere allo Stato un'indennità per occupazione abusiva, il cui importo sarebbe stato determinato in un procedimento separato. La ricorrente, invocando l'art. 1 Prot. n. 1 CEDU, lamentava di essere stata privata senza alcun indennizzo della valle da pesca da essa utilizzata e di essere stata riconosciuta debitrice nei confronti dello Stato di una indennità di occupazione senza titolo il cui importo avrebbe potuto essere molto elevato. La Corte - sulla base delle evidenze di fatto prospettate dalle parti - ha ritenuto che l'ingerenza nel godimento del diritto al rispetto dei beni, effettuata senza indennizzo e imponendo alla ricorrente degli oneri supplementari, fosse manifestamente non proporzionata allo scopo legittimo perseguito. Ha pertanto ritenuto sussistente la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, in quanto lo Stato non ha mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco e la ricorrente ha dovuto sopportare un onere eccessivo e sproporzionato.

  • Sentenza del: 09/09/2014

    N° ricorso: 657/10, 27897/10, 27908/10, 64297/10

    Caligiuri e altri - in materia di retroattività delle leggi di interpretazione autentica. La pronuncia prende le mosse dai giudizi intentati da alcuni lavoratori appartenenti al personale scolastico ATA, volti ad ottenere il riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata presso gli enti locali prima che, con la legge 124 del 1999, venisse disposto il loro trasferimento alle dipendenze dello Stato, nella specie del Ministero dell'Istruzione. Nelle more dei giudizi, il legislatore era intervenuto con una legge di interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 124 del 1999, in forza della quale l'inquadramento del personale ATA nei ruoli statali sarebbe dovuto avvenire sulla base del trattamento salariale complessivo al momento del trasferimento, senza considerare la pregressa anzianità di servizio maturata. La Corte ha constatato la violazione del diritto dei ricorrenti ad un processo equo, protetto dall'art. 6, par. 1 CEDU, poiché l'intervento legislativo, regolando definitivamente e con efficacia retroattiva la materia del contendere nei giudizi pendenti tra lo Stato e i ricorrenti, non era giustificato da gravi motivi di interesse generale.

  • Sentenza del: 09/09/2014

    N° ricorso: 33955/07

    Carrella - in materia di condizioni di detenzione. La pronuncia prende le mosse dal ricorso di un detenuto, affetto da una forma di diabete associata a molte complicanze, che invocando l'art. 3 CEDU lamentava la mancanza di cure mediche adeguate in carcere nonché i numerosi errori e omissioni che avrebbero messo in pericolo la sua vita e lo avrebbero sottoposto a un trattamento inumano o degradante. Il ricorrente si doleva altresì del fatto che le autorità non avessero preso in considerazione la possibilità di consentirgli di beneficiare di una misura alternativa alla detenzione in carcere, archiviando altresì la querela con la quale egli aveva denunciato l'insufficienza e l'inadeguatezza delle cure alle quali era stato sottoposto.

    La Corte ha dichiarato non sussistente la violazione dell'art. 3 della Convenzione, sotto il profilo materiale, in quanto, nonostante alcuni ritardi, le autorità hanno ottemperato al loro obbligo di proteggere l'integrità fisica del ricorrente attraverso controlli medici appropriati. La Corte, inoltre, ha affermato che non vi è stata violazione dall'articolo 3 della Convenzione sotto il profilo procedurale, in quanto la denuncia del ricorrente è stata oggetto di un'inchiesta rapida ed effettiva.

  • Sentenza del: 22/07/2014

    N° ricorso: 14625/03, 14628/03, 15007/03

    Bifulco e altri - in materia di ragionevole durata del processo. Constata la violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU, relativo al diritto ad un processo equo sotto il profilo della ragionevole durata.

  • Sentenza del: 15/07/2014

    N° ricorso: 38624/07

    Panetta - in materia di ragionevole durata del processo. La causa ha ad oggetto il mancato versamento dell'assegno di mantenimento nei confronti della ricorrente, una cittadina italo-francese sposata con un cittadino italiano. In particolare, la ricorrente lamentava l'inerzia da parte delle autorità italiane per quanto riguarda le sue domande volte a ottenere il versamento dell'assegno dovuto dal suo ex marito. La Corte, richiamando la sua giurisprudenza in tema di ragionevole durata del processo, ha constatato la violazione dell'art. 6, par 1, CEDU.

  • Sentenza del: 08/07/2014

    N° ricorso: 43892/04

    Pennino - istanza di revisione ex art. 80 del regolamento della Corte. Il Governo italiano aveva proposto istanza di revisione della sentenza del 24 settembre 2013, con la quale la Corte, in una causa relativa alla omessa esecuzione di un provvedimento giurisdizionale definitivo, aveva accertato la violazione dell'art. 1, Prot. n. 1, CEDU e dell'art. 6 CEDU e condannato lo Stato italiano a versare la somma di 30.000 euro a titolo di pregiudizio morale e materiale, oltre alla somma di 5.00 euro per le spese di procedura.

    A sostegno della propria domanda di revisione, il Governo aveva invocato la scoperta di un fatto nuovo decisivo ai sensi dell'art. 80 del regolamento della Corte, consistente nel fatto di aver appreso solo in epoca successiva al deposito della suddetta pronuncia che il ricorrente aveva ottenuto il pagamento del suo credito, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria. La Corte ha respinto la domanda di revisione in quanto i fatti in questione potevano ragionevolmente essere conosciuti dal governo prima della suddetta pronuncia.

  • Sentenza del: 08/07/2014

    N° ricorso: 43870/04

    De Luca - istanza di revisione ex art. 80 del regolamento della Corte. Il Governo italiano aveva proposto istanza di revisione della sentenza del 24 settembre 2013, con la quale la Corte, in una causa relativa alla omessa esecuzione di un provvedimento giurisdizionale definitivo, aveva accertato la violazione dell'art. 1, Prot. n. 1, CEDU e dell'art. 6 CEDU e condannato lo Stato italiano a versare la somma di 30.000 euro a titolo di pregiudizio morale e materiale, oltre alla somma di 5.00 euro per le spese di procedura. A sostegno della propria domanda di revisione, il Governo aveva invocato la scoperta di un fatto nuovo decisivo ai sensi dell'art. 80 del regolamento della Corte, consistente nel fatto di aver appreso solo in epoca successiva al deposito della suddetta pronuncia che il ricorrente aveva ottenuto il pagamento del suo credito, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria. La Corte ha respinto la domanda di revisione in quanto i fatti in questione potevano ragionevolmente essere conosciuti dal governo prima della suddetta pronuncia.

  • Sentenza del: 01/07/2014

    N° ricorso: 61820/08

    Guadagno e altri - in materia di diritto ad un processo equo. La causa prende le mosse dal giudizio promosso dai ricorrenti, magistrati amministrativi consiglieri di Stato, per ottenere l'adeguamento del loro salario in applicazione dell'articolo 1 della legge n. 265 dell'8 agosto 1991. Essi ritenevano infatti di avere diritto, in virtù di tali disposizioni, allo stesso stipendio riconosciuto ad altri consiglieri di Stato che, pur avendo un'anzianità inferiore alla loro, godevano di un trattamento stipendiale più elevato. Nelle more del giudizio entrò in vigore la legge n. 388 del 2000, il cui art. 50 vietava, con effetto retroattivo, di procedere al pagamento dei crediti stabiliti in materia da decisioni giudiziarie diverse da quelle che erano già divenute definitive alla data della sua entrata in vigore. I ricorrenti pertanto, secondo l'Amministrazione che si opponeva all'esecuzione della sentenza del Tar, non avrebbero più potuto far valere il diritto all'adeguamento. Il Consiglio di Stato, davanti al quale era stata impugnata la sentenza resa nel giudizio di ottemperanza, accolse l'appello dell'Amministrazione e giudicò legittima la decisione di non dare esecuzione alla sentenza del TAR favorevole ai ricorrenti.

    La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla circostanza se, nel caso di specie, l'intervento del legislatore abbia pregiudicato l'equità del procedimento e, in particolare, la parità delle armi, ha ritenuto che l'intervento legislativo, che regolava definitivamente e retroattivamente il merito della controversia che opponeva i ricorrenti allo Stato dinanzi ai giudici interni, non era giustificato da motivi imperativi di interesse generale. Per tali ragioni la Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 6 par. 1 CEDU.

Navigazione pagine di servizio

Fine pagina