Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto
-
Sentenza del: 04/02/2014
N° ricorso: 33312/03
Benenati e Scillamà - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
-
Sentenza del: 04/02/2014
N° ricorso: 29932/07
Mottola e altri - in materia di diritto ad un processo equo, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale. I ricorrenti sono medici che, tra il 1983 e il 1997, lavoravano presso il Policlinico dell'Università Federico II di Napoli dapprima con contratti a tempo determinato con remunerazione a gettone e, successivamente, con contratti a tempo indeterminato. Nel 2004 essi avevano presentato ricorso al giudice amministrativo al fine di far accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'ospedale universitario, ed ottenere così il versamento dei contributi previdenziali. Il Tar accolse i ricorsi e condannò l'università al versamento dei contributi non pagati. Tale pronuncia venne però annullata dal Consiglio di Stato che, in accoglimento dell'appello dell'università, dichiarò i ricorsi irricevibili in quanto essi avrebbero dovuto essere presentati davanti al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. 165 del 2000. La Corte EDU, nel constatare come la normativa transitoria in materia di ripartizione della giurisdizione si prestasse a diverse interpretazioni, ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU relativo al diritto ad un processo equo, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, avendo riconosciuto che i ricorrenti erano stati privati della possibilità di presentare ricorso alla autorità giudiziaria competente. La Corte ha altresì constatato la violazione dell'art. 1, Prot. n. 1, CEDU avendo ritenuto che lo Stato non aveva realizzato il giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco.
-
Sentenza del: 04/02/2014
N° ricorso: 29907/07
Staibano e altri - in materia di diritto ad un processo equo, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale. I ricorrenti sono medici che, tra il 1983 e il 1997, lavoravano presso il Policlinico dell'Università Federico II di Napoli dapprima con contratti a tempo determinato con remunerazione a gettone e, successivamente, con contratti a tempo indeterminato. Nel 2004 essi avevano presentato ricorso al Tar al fine di far accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l'ospedale universitario, ed ottenere così il versamento dei contributi previdenziali. Il Tar accolse i ricorsi e condannò l'università al versamento dei contributi non pagati. Tale pronuncia venne però annullata dal Consiglio di Stato che, in accoglimento dell'appello dell'università, dichiarò i ricorsi irricevibili in quanto essi avrebbero dovuto essere presentati davanti al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. 165 del 2000. La Corte EDU, nel constatare come la normativa transitoria in materia di ripartizione della giurisdizione si prestasse a diverse interpretazioni, ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU relativo al diritto ad un processo equo, sotto il profilo del diritto di accesso ad un tribunale, avendo riconosciuto che i ricorrenti erano stati privati della possibilità di presentare ricorso alla autorità giudiziaria competente. La Corte ha altresì constatato la violazione dell'art. 1, Prot. n. 1, CEDU avendo ritenuto che lo Stato non aveva realizzato il giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco.
-
Sentenza del: 04/02/2014
N° ricorso: 25376/06
Ceni - in materia di protezione della proprietà. La ricorrente aveva stipulato un contratto preliminare di vendita per un immobile in costruzione. Di fronte al rifiuto di addivenire alla stipula del contratto definitivo, la ricorrente convenne in giudizio l'impresa costruttrice al fine di ottenere il trasferimento della proprietà per via giudiziaria. Nelle more del giudizio, l'impresa fu dichiarata in stato di fallimento, circostanza che provocò l'interruzione de jure del procedimento civile promosso dalla ricorrente.
Successivamente il curatore fallimentare comunicò alla ricorrente la sua decisione di risolvere il contratto preliminare di compravendita e di mettere all'asta l'appartamento da lei posseduto. L'immobile in questione venne quindi venduto all'asta e la Ceni fu costretta a riacquistarlo dai nuovi proprietari
La ricorrente ha adito la Corte EDU lamentando che la decisione del curatore fallimentare di risolvere il contratto preliminare di compravendita immobiliare di cui essa era parte contraente ha violato l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
La Corte ha ritenuto che la ricorrente sia stata privata di qualsiasi tutela effettiva contro la perdita dell'appartamento e delle somme versate per l'acquisto dello stesso, e obbligata a sopportare un onere eccessivo ed esorbitante. Ella, inoltre, non disponeva di alcun rimedio giurisdizionale per poter far valutare la necessità e la proporzionalità della decisione del curatore fallimentare, dal momento che quest'ultimo aveva esercitato un potere discrezionale che non poteva essere soggetto al controllo giurisdizionale. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato che, nel caso di specie, lo Stato non ha soddisfatto gli obblighi positivi derivanti dall'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e che vi è stata pertanto violazione di questa disposizione. La Corte ha altresì constatato la violazione dell'articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.
-
Sentenza del: 28/01/2014
N° ricorso: 1780/04
Giannitto - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
-
Sentenza del: 21/01/2014
N° ricorso: 48754/11
Placì - in materia di trattamenti inumani e degradanti.Il ricorrente, chiamato a svolgere il servizio militare obbligatorio, venne dichiarato idoneo alla leva, sebbene la sua valutazione psicoattitudinale avesse evidenziato diverse criticità. Successivamente, avendo manifestato dei disturbi psichici, il Placì venne sottoposto a diverse visite mediche, all'esito delle quali venne dichiarato inidoneo al servizio di leva. In particolare, i medici ritennero che continuare a svolgere il servizio militare avrebbe aggravato lo stato di ansia di cui il ricorrente soffriva. Il Placì chiese quindi al Ministro della Difesa una somma a titolo di risarcimento danni, ritenendo provato il nesso causale tra il suo stato di salute mentale e lo svolgimento del servizio militare. Il Ministero rigettò tale richiesta sulla base della relazione della Commissione medica territoriale di Bari, secondo la quale il disturbo ossessivo-compulsivo di cui soffriva il Placì non era dipendente dal servizio militare svolto. Il ricorrente ha quindi adito la Corte EDU lamentando che non era stata effettuata una valutazione corretta del suo stato di salute prima di prestare il servizio militare.
La Corte ha ritenuto che lo Stato sia venuto meno al suo dovere di garantire che il ricorrente svolgesse il servizio militare in condizioni compatibili col rispetto dei suoi diritti ai sensi dell'articolo 3 e che, nel caso di specie, data la sua specifica situazione, egli sia stato sottoposto a pericoli o sofferenze di intensità eccedente l'inevitabile livello di durezza inerente alla disciplina militare. Alla luce di tali considerazioni la Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 3 CEDU. La Corte ha altresì accertato la violazione dell'art. 6, par. 1, CEDU, in quanto il ricorrente non ha avuto un equo processo dinanzi a un tribunale imparziale e in posizione di parità con il suo avversario nel procedimento dinanzi al Consiglio di Stato.
-
Sentenza del: 21/01/2014
N° ricorso: 33773/11
Zhou - in materia di adozioni. Il caso prende le mosse dalla dichiarazione dello stato di adottabilità di un bambino di nazionalità cinese per l'asserita incapacità della madre di prendersi cura del bambino, pronunciata senza assicurare il diritto di visita della madre al figlio. Il curatore del minore aveva chiesto alla Corte d'appello di non procedere a un'adozione legittimante, ma a un'adozione legittimante aperta o adozione mite (c.d. «adozione semplice»), ossia a un'adozione che avrebbe permesso alla ricorrente di incontrare il figlio sotto la sorveglianza dei servizi sociali in modo tale da mantenere un legame tra loro. La Corte d'appello confermò invece lo stato di adottabilità del minore, sottolineando che un'adozione semplice non era prevista dal legislatore.
La Corte EDU ha ritenuto che le autorità italiane non hanno adottato alcuna misura volta a preservare il legame familiare tra la ricorrente e il figlio e di favorirne lo sviluppo, limitandosi invece a prendere atto di alcune difficoltà, che avrebbero potuto essere superate per mezzo di un'assistenza sociale mirata. Né il Governo ha fornito alcuna spiegazione convincente che potesse giustificare la soppressione del legame di filiazione materna tra la ricorrente e il figlio. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato che vi è stata violazione del diritto della ricorrente al rispetto della vita familiare, sancito dall'articolo 8 CEDU.
-
Sentenza del: 14/01/2014
N° ricorso: 39180/08, 39688/08, 52477/08, 52513/08, 52583/08, 52590/08, 52891/08, 52893/08, 59074/08, 59178/08, 60179/08, 61811/08, 2358/09, 4945/09, 5063/09, 5079/09, 5106/09
Montalto e altri - in materia di retroattività delle leggi di interpretazione autentica. La pronuncia prende le mosse dai giudizi intentati da alcuni lavoratori appartenenti al personale scolastico ATA, volti ad ottenere il riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata presso gli enti locali prima che, con la legge 124 del 1999, venisse disposto il loro trasferimento alle dipendenze dello Stato, nella specie del Ministero dell'Istruzione. Nelle more dei giudizi, il legislatore era intervenuto con una legge di interpretazione autentica dell'art. 8 della legge 124 del 1999, in forza della quale l'inquadramento del personale ATA nei ruoli statali sarebbe dovuto avvenire sulla base del trattamento salariale complessivo al momento del trasferimento, senza considerare la pregressa anzianità di servizio maturata. La Corte ha constatato la violazione del diritto dei ricorrenti ad un processo equo, protetto dall'art. 6, par. 1 CEDU, poiché l'intervento legislativo, regolando definitivamente e con efficacia retroattiva la materia del contendere nei giudizi pendenti tra lo Stato e i ricorrenti, non era giustificato da gravi motivi di interesse generale. -
Sentenza del: 14/01/2014
N° ricorso: 1537/04
Pascucci - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.
-
Sentenza del: 07/01/2014
N° ricorso: 77/07
Cusan e Fazzo - in materia di attribuzione del cognome ai figli. La causa prende le mosse dal diniego opposto dell'ufficiale di stato civile alla registrazione all'anagrafe della figlia legittima dei ricorrenti con il solo cognome materno. I ricorsi promossi dalla coppia avverso tale decisione vennero respinti in tutti i gradi di giudizio. Essi ottennero unicamente dal Ministero dell'Interno l'autorizzazione a far completare il cognome dei loro figli aggiungendo il cognome materno. La Corte, con 6 voti contro 1, ha constatato la violazione dell'art. 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'art. 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare), avendo accertato che la scelta di attribuire ai figli legittimi il cognome paterno si basa unicamente su una discriminazione fondata sul sesso dei genitori. In particolare, la Corte ha ravvisato nell'impossibilità di derogare alla regola del patronimico un trattamento discriminatorio nei confronti delle donne, e per questo motivo in contrasto con la Convenzione.