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Osservatorio sulle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU)

Sentenze

Sono inseriti in questa sezione elenchi delle sentenze emanate nei confronti dell'Italia, disposte in ordine cronologico ed inserite periodicamente in seguito alla loro emanazione. Il contenuto delle sentenze è illustrato con una breve massima e vi è un link sia alla sintesi predisposta dall'Avvocatura, sia al testo ufficiale della sentenza contenuto nel sito della Corte, nella lingua in cui è redatto

  • Sentenza del: 07/04/2015

    N° ricorso: 6884/11

    Cestaro - in materia di tortura. Il caso riguarda gli eventi verificatisi al termine del summit del G8 a Genova nel luglio del 2001, all'interno della scuola Diaz, messa a disposizione dal Comune di Genova per offrire ai manifestanti una sistemazione per la notte. Nella notte tra il 21 ed il 22 luglio 2001 un'unità della polizia antisommossa fece irruzione nell'edificio verso mezzanotte per procedere ad una perquisizione. Ne sono seguiti degli atti di violenza. Il ricorrente, M. Cestaro, si trovava all'interno della scuola. All'arrivo della polizia, questi si è seduto con la schiena contro il muro ed ha alzato il braccio in aria. È stato colpito più volte e i colpi hanno causato delle fratture multiple.

    Dopo tre anni di indagini condotte dalla procura di Genova, ventotto persone tra funzionari, dirigenti ed agenti delle forze dell'ordine sono state rinviate a giudizio. Il 13 novembre 2008, il Tribunale ha condannato, tra gli altri, dodici imputati a pene comprese tra i due ed i quattro anni di reclusione, nonché al pagamento in solido con il Ministero dell'Interno dei costi e delle spese ed al risarcimento dei danni alle parti civili.

    Il sig. Cestaro ha adito la Corte EDU e, invocando in particolare l'articolo 3, relativo alla proibizione della tortura, lamentava di essere stato vittima di violenze e sevizie al momento dell'irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz, tali da essere qualificate come tortura.

    La Corte ha ritenuto che vi è stata una violazione dell'articolo 3 della Convenzione a causa dei maltrattamenti subiti dal sig. Cestaro, che devono essere qualificati come « tortura » ai sensi di questa disposizione e a causa di una legislazione penale interna inadeguata rispetto all'esigenza di punire atti di tortura e sprovvista di effetti dissuasivi per prevenire efficacemente la loro reiterazione. Dopo aver sottolineato il carattere strutturale del problema, la Corte ha quindi invitato lo Stato italiano a dotarsi di strumenti giuridici in grado di punire in maniera adeguata i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti ai sensi dell'articolo 3 e atti ad impedire che questi possano beneficiare di misure contrarie alla giurisprudenza della Corte.

  • Sentenza del: 24/03/2015

    N° ricorso: 39824/07

    Antonio Messina - in materia di detenzione. Il ricorrente era stato condannato a varie pene per reati gravi. La sua ultima condanna era stata pronunciata nel 2001 dalla Corte d'Assise d'appello di Palermo per associazione per delinquere di stampo mafioso. Il ricorrente chiese ed ottenne l'applicazione della misura della liberazione anticipata, ex art. 54 della legge n. 354 del 1975 per un totale di 8 semestri dal 1998 al 2003 e dal 23 maggio 2003 al 23 maggio 2004. Il magistrato di sorveglianza respinse però la richiesta di riduzione della pena per il periodo di detenzione anteriore a maggio 1998, in considerazione dell'ultima condanna subita. Tale decisione è stata successivamente annullata e al ricorrente è stata concessa un'ulteriore riduzione della pena di 405 giorni che ha portato all'immediata scarcerazione.

    Il ricorrente ha quindi adito la Corte EDU e, invocando l'articolo 5 § 1 lettera a) della Convenzione, relativo al diritto alla libertà e alla sicurezza, sosteneva che la tardività nella concessione della liberazione anticipata ha prodotto l'effetto di allungare la durata dell'esecuzione della sua pena.

    La Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 5 § 1 lettera a), in quanto il ricorrente ha espiato una pena di una durata superiore a quella che avrebbe dovuto scontare secondo il sistema giuridico nazionale, tenuto conto delle liberazioni anticipate alle quali aveva diritto. La Corte ha constatato altresì la violazione dell'art. 5 § 5 della Convenzione, in quanto il ricorrente non è stato risarcito per la detenzione ingiustamente scontata.

  • Sentenza del: 24/03/2015

    N° ricorso: 11620/07

    Gallardo Sanchez - in materia di estradizione. Il 19 aprile 2005 il signor Gallardo Sanchez fu sottoposto a custodia cautelare a fini estradizionali dalla Polizia italiana, in esecuzione di un mandato di arresto emesso dalla Corte di appello di Atene per il reato di incendio doloso. A causa di alcuni ritardi maturati nel corso della procedura di estradizione, la sua detenzione si è protratta fino al 26 ottobre 2006, giorno in cui il signor Gallardo Sanchez è stato estradato.

    Il ricorrente ha quindi adito la Corte EDU e, invocando l'art. 5 della Convenzione, relativo al diritto alla libertà e alla sicurezza, lamentava l'eccessiva durata della detenzione in vista dell'estradizione, rispetto al carattere a suo dire poco complesso della causa.

    La Corte, tenuto conto della natura della procedura di estradizione e del carattere ingiustificato dei ritardi delle autorità giudiziarie italiane, ha concluso che la detenzione del ricorrente non è stata «regolare» ai sensi dell'articolo 5 § 1 f) della Convenzione e che, pertanto, vi è stata violazione di questa disposizione.

  • Sentenza del: 27/01/2015

    N° ricorso: 25358/12

    Paradiso e Campanelli - in materia di diritto alla vita privata e familiare.La pronuncia ha per oggetto il rifiuto opposto dalle autorità italiane di trascrivere l'atto di nascita di un bambino nato in Russia da madre surrogata, nonché la decisione delle medesime autorità di affidare il minore ai servizi sociali dopo che il neonato aveva trascorso i primi sei mesi di vita con i ricorrenti. La decisione era motivata dalla circostanza che il test del DNA eseguito aveva evidenziato che non vi erano legami genetici tra il minore e quello del ricorrente. Pertanto non si trattava di un caso di maternità surrogata; i ricorrenti avevano invece portato un bambino in Italia facendo credere che fosse loro figlio.

    I ricorrenti hanno quindi adito la Corte di Strasburgo lamentando la violazione da parte dello Stato italiano del diritto al rispetto della loro vita privata e familiare, in relazione - in particolare - al rifiuto di riconoscere valore legale al rapporto di filiazione validamente formatosi nel Paese estero e alla decisione di sottrarre il minore alle loro cure.

    La Corte a maggioranza ha dichiarato che la decisione delle autorità italiane di sottrarre il minore alle cure della coppia, ha violato l'art. 8 della Convenzione. La Corte ha ribadito che la misura dell'allontanamento del minore dal contesto familiare è una misura estrema che può essere giustificata soltanto in caso di pericolo immediato per il bambino. Pur riconoscendo la delicatezza della situazione che i giudici nazionali erano stati chiamati ad affrontare, la Corte EDU ha concluso che nel caso di specie non sussistevano le condizioni per l'adozione della misura dell'allontanamento del minore, e che le autorità nazionali non hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve sussistere tra gli interessi in gioco.

    La Corte ha infine precisato che la constatazione di violazione pronunciata nella causa dei ricorrenti non può essere intesa nel senso di obbligare lo Stato a riconsegnare il minore agli interessati, tenuto conto dei legami affettivi che il minore ha certamente sviluppato con la famiglia affidataria.

  • Sentenza del: 20/01/2015

    N° ricorso: 107/10

    Manuello e Nevi - in materia di diritto alla vita privata e familiare. Il caso prende le mosse dal ricorso presentato dai nonni paterni di una bambina, che all'epoca dei fatti aveva 5 anni, per esercitare il proprio diritto di visita. Essi lamentavano che, da quando in sede di separazione giudiziale dei genitori la madre aveva presentato al tribunale per i minorenni una richiesta di decadenza della potestà genitoriale del marito, si era interrotto qualsiasi rapporto con la nipote. Il padre della bambina era stato infatti accusato di abusi sessuali a carico della minore.

    Nel corso del procedimento penale, la psicologa che aveva in cura la minore aveva chiesto al Tribunale dei minori di sospendere il diritto di visita dei nonni paterni, poiché ella, associando la figura dei nonni a quella del padre, aveva manifestato sentimenti di paura e angoscia e per questo motivo si rifiutava di incontrarli.

    Sebbene il procedimento penale si fosse nel frattempo concluso con una sentenza di assoluzione (sia pure con la formula dubitativa dell'art. 530 c.p.p., comma 2), il Tribunale per i minorenni dispose la sospensione dei rapporti della minore con i nonni paterni e confermò la sospensione dei rapporti con il padre, incaricando i servizi sociali di proseguire nell'intervento di sostegno e di preparazione per la graduale ripresa dei rapporti. La Corte d'appello respinse il reclamo proposto dai ricorrenti avverso tale decisione, rilevando che l'assoluzione del padre non costituiva un elemento sufficiente per escludere che il disagio della minore fosse conseguenza delle molestie sessuali subite.

    I ricorrenti hanno quindi adito la Corte EDU sostenendo che i giudici nazionali, impedendo loro di incontrare la nipote, non hanno tenuto conto dell'interesse superiore della stessa e hanno pregiudicato in maniera sproporzionata il loro diritto alla vita familiare.

    La Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, avendo ritenuto che le autorità nazionali non si siano impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame familiare tra i ricorrenti e la nipote e che abbiano violato il diritto degli interessati al rispetto della loro vita familiare.

  • Sentenza del: 16/12/2014

    N° ricorso: 26010/04

    D'Asta - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU relativo alla protezione della proprietà, poiché l'espropriazione indiretta si pone in contrasto con il principio di legalità, non assicurando un sufficiente grado di certezza giuridica.

  • Sentenza del: 16/12/2014

    N° ricorso: 25376/06

    Ceni - liquidazione ex art. 41 CEDU. Liquida ai sensi dell'art. 41 CEDU l'equa soddisfazione per la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU, relativo alla protezione della proprietà, già constatata con sentenza del 4.2.14.

  • Sentenza del: 02/12/2014

    N° ricorso: 43978/09

    Battista - in materia di libertà di circolazione. Il caso prende le mosse dalla richiesta avanzata al giudice tutelare da parte del sig. Battista, che all'epoca dei fatti si stava separando dalla moglie, di iscrivere i figli minori sul proprio passaporto. A tale richiesta si era opposta la ex moglie, che gli contestava il mancato pagamento dell'assegno alimentare dovuto. Le autorità nazionali non solo negarono al ricorrente la possibilità di iscrivere i figli sul proprio passaporto, ma gli rifiutarono il rilascio di un passaporto e di una carta d'identità valida per l'espatrio, in quanto vi era il rischio che recandosi all'estero il ricorrente non avrebbe più versato l'assegno alimentare. La Corte ha constatato la violazione dell'articolo 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, in quanto l'imposizione automatica di una simile misura limitativa della libertà di circolazione, per una durata indeterminata e senza tener conto delle circostanze specifiche dell'interessato, non può essere considerata necessaria in una società democratica.

  • Sentenza del: 25/11/2014

    N° ricorso: 997/05

    Maiorano e Serafini - in materia di espropriazione indiretta. Constata la violazione dell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU, relativo alla protezione della proprietà, poiché l'ingerenza nei diritti di proprietà dei ricorrenti non è compatibile con il principio di legalità ed ha pertanto violato il diritto dei medesimi al pacifico godimento dei loro beni di cui all'articolo 1 del Protocollo n. 1.

  • Sentenza del: 13/11/2014

    N° ricorso: 3168/11, 3170/11, 15195/11, 15200/11, 15203/11, 15205/11, 15976/11, 30691/11, 30762/11, 30767/11, 30786/11, 30792/11, 30795/11, 30830/11, 30835/11, 30839/11, 30855/11, 30899/11, 47154/11

    G.G. e altri - in materia di diritto alla vita. All'origine della causa vi sono diciannove ricorsi proposti da persone (o dai loro eredi) che erano state contagiate da sangue infetto loro trasfuso, contraendo chi il virus dell'epatite C, chi quello dell'epatite B, chi entrambi i virus. Invocando il precedente della Corte EDU reso nella causa G.N. e altri c. Italia, i ricorrenti denunciavano la violazione dell'articolo 2 della Convenzione, sotto il profilo procedurale, in ragione della eccessiva durata dei procedimenti civili avviati al fine di ottenere il risarcimento del danno che essi stessi o i loro de cuius avevano subito a seguito del contagio contratto in un ospedale pubblico.

    La Corte ha rilevato che la durata dei procedimenti in causa sia stata eccessiva e che le autorità italiane, di fronte ad un motivo difendibile basato sull'articolo 2 della Convenzione, non abbiano offerto una risposta adeguata e rapida conforme agli obblighi procedurali imposti allo Stato da questa disposizione. Pertanto vi è stata violazione dell'art. 2 della Convenzione sotto il profilo procedurale.

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